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CASTE INDIANE
L'origine della divisione in caste della società indiana risale alla penetrazione degli arii (o indoeuropei) in India nel corso del secondo millennio a.C. Essa si ricollega a divisioni funzionali e rituali (per esempio tra sacerdoti e guerrieri) presenti in molte popolazioni indoeuropee le cui tracce sono ben riconoscibili sia nel mondo greco antico sia in quello celtico o germanico. Nel caso dell'India gli invasori forse recepirono anche stratificazioni sociali già consolidatesi nella elaborata civiltà dell'Indo, cui essi si sovrapposero. Il meccanismo castale fu inizialmente usato per tener separati i ruoli dei dominatori da quelli dei dominati, com'è chiaramente indicato dal termine sanscrito varna (colore) che indica tradizionalmente le principali suddivisioni e che riflette la originaria differenza razziale tra indoeuropei (chiari) e indigeni (scuri), marcando in maniera ancora oggi percettibile, nell'India del nord, il colore della pelle degli appartenenti alle due caste superiori rispetto agli altri. L'istituzionalizzazione del sistema castale, che lo rese un perno nella vita sociale e religiosa degli indiani e nell'organizzazione economica professionale, avvenne tuttavia con molta gradualità nel corso del primo millennio a.C. e nei primi secoli dell'era volgare. Allora fu codificata la distinzione fondamentale, in ordine gerarchico, tra brahmani (sacerdoti), kshatrya (guerrieri), vaishya (mercanti e artigiani) e shudra (servi), cui si aggiungevano i "fuori casta", genericamente indicati come paria o intoccabili, esclusi dal novero castale per la spregevolezza dell'occupazione o per aver perso, violandone le norme, l'appartenenza alla casta e, con essa, i diritti sociali e i ruoli nella ritualità religiosa. Le caste, infatti, impongono una serie assai complessa di regole, tra cui, principale, l'endogamia (la possibilità cioè di sposarsi solo all'interno della casta), e numerose disposizioni di purezza rituale, tra cui l'astensione da certo cibo (i brahmani dovrebbero essere rigorosamente vegetariani) o il divieto di contaminazione con caste inferiori (attraverso rapporti sessuali o anche semplicemente con il contatto fisico, o con la spartizione di cibi e bevande ecc.). È esclusa comunque in via di principio, qualsiasi mobilità intercastale e in aree rurali è ancora frequente una distribuzione spaziale tra caste diverse all'interno di uno stesso villaggio, con quartieri separati e pozzi separati. La suddivisione in quattro caste si andò a sua volta spezzettando in "sub-caste", tutte altrettanto rigidamente escluse le une dalle altre, basate su fattori specifici quali la lingua, la professione esercitata, la provenienza geografica originaria, la specifica affiliazione a una setta religiosa induista e così via. Secondo una stima generica il numero attuale delle caste si aggira intorno a duemila e oltre. Ma una piccola parte soltanto della popolazione è ascrivibile alle prime due caste, mentre la massa rientra nella quarta e i "fuori casta", noti con il nome di harijan (figli di Dio) attribuito loro da M.K. Gandhi, sono molte decine di milioni. Al sistema delle caste si opposero le grandi religioni nate in India sul tronco induista, dal buddhismo (VI secolo a.C.) ai sikh (XVI secolo), sino ad alcune correnti riformiste del XIX e XX secolo. Ma esse rimasero, nella società indiana, nettamente minoritarie, mentre religioni esterne, come l'Islam (presente in India dal X secolo) o il cristianesimo, finirono con l'assorbire al proprio interno stratificazioni sociali che riflettono in maniera anche assai elevata la rigidità propria del sistema castale induista. Il sistema pare essersi rafforzato, adattandosi e razionalizzandosi in direzioni professionali/clientelari nell'ultimo secolo: accettato da Gandhi (che si preoccupò di smussarne alcune asperità umilianti come la segregazione degli intoccabili) fu ufficialmente bandito nel 1950 dalla Costituzione dell'India indipendente (che anzi prescrive protezioni e garanzie specifiche per le caste più basse, i "fuori casta" e le tribù primitive) ma nei fatti si sviluppò sia in riferimento al sistema elettorale maggioritario sia rispetto alle divisioni del mondo del lavoro sia, nei ceti più elevati e più colti, come garanzia di status.

C. Zanie
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